Puro e impuro: appunti su Mc 7, 1-23

mani-sporche0. APERTURA

Per masticare la parola, cliccare su questo link Mc 7, 1-23
Secondo voi, il Cristianesimo è una religione? Per me no.

1. MARCO

Il Vangelo di Marco. Il primo ad essere stato scritto. E’ stato considerato per errore un riassunto di Matteo (per questo si colloca come secondo vangelo nell’ordine canonico); ma la critica filologica tedesca (XIX secolo) ha chiarito la questione.

Il testo marciano è copiato quasi interamente da Matteo e Luca. Che a loro volta aggiungono fatti visti di persona (Matteo) o testimonianze (Luca)

Possiamo ragionevolmente affermare che il Vangelo di Marco sia sostanzialmente il Vangelo di Pietro, scritto probabilmente per la comunità di Roma (Marco infatti “traduce” alcuni termini strettamente ebraici, a beneficio della comunità latina; cosa che ad esempio Matteo, che scrive per gli ebrei, non fa).

Marco è quel Giovanni Marco (At 12, 25), cugino di Barnaba (Col 4, 10), giovanissimo ai tempi del triennio pubblico di Gesù, ma già suo discepolo. Probabilmente alla sua famiglia apparteneva il podere del Get-shevarim (il Gestemani, ovvero “il frantoio” o “l’orto degli ulivi”) dove Gesù era solito ritirarsi in preghiera e che fu teatro della prima notte di Passione.

La tradizione lo identifica in quel giovinetto che segue Gesù nella sua ultima notte e che perde il lenzuolo mentre scappa.

Dopo la Resurrezione, Marco diventa discepolo di Paolo e parte con l’Apostolo delle Genti. Ma poi, troppo fragile per un simile viaggio, viene rimandato indietro (At 15, 39) e viene accolto da Pietro (1Pt 5, 13). Il suo Vangelo è permeato dalla domanda: Chi è costui?

Domanda a cui risponde nettamente al primo versetto: “Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio”, ma che sviluppa poi per i restanti 16 capitoli. E l’affermazione torna poi sulla bocca del centurione (un pagano, non a caso): “veramente costui è Figlio di Dio.” (Mc 15, 39)

  1. PRIMA E DOPO Mc 7

Prima: capitolo 6.  La missione del Messia comincia da Israele, dal suo popolo. Gesù è a casa sua ad insegnare, ma non viene capito, nè riconosciuto. Gesù desta scandalo per le cose che insegna nella sinagoga. O meglio: perchè NON E’ DEGNO DI INSEGNARE! (annotare questa accusa a Dio; ne troveremo un’altra molto simile in questo brano). Alla domanda “Chi è costui?” la gente risponde: è il figlio del carpentiere. Lo conosciamo già. Sappiamo tutto di lui. Inutile starlo a sentire.

E Gesù, di fronte a questa pervicace sordità, è costretto ad andare altrove.

Gesù è tanto deluso dalla resistenza che trova in chi dovrebbe essere più propenso all’ascolto, quanto è commosso per il bisogno di Dio che si manifesta nella gente comune. E spezza il pane, si dà, per i cinquemila. L’effetto sortito però non è quello sperato. I discepoli non hanno compreso il significato del gesto. Mandati in missione ai pagani, sono smarriti, timorosi, perduti. Gesù deve andare a prenderli sul lago e deve riportarli indietro, sulle rive amiche, facendo loro coraggio.

Non sono ancora pronti.

Dopo: capitolo 8

Si ripropone il miracolo della moltiplicazione dei pani (probabilmente lo stesso evento, riproposto da Marco due volte). E ancora abbiamo l’incomprensione tra l’agire di Gesù e il sentire dei farisei e anche dei discepoli. Addirittura di fronte a “tanta grazia” si chiede ancora al Cristo di fare un “segno”.

Insomma, è uno scenario di incomprensione totale quello in cui si inserisce il testo che stiamo per leggere.

  1. FARISEI

In ebraico “perushim”, i puri o i separati

I farisei sono i “devoti”. Gli “ultrà” di Dio. Gente cattiva? Assolutamente no!

Oggi ai nostri preti farebbe comodo avere qualche fariseo in parrocchia. E’ uno che verserebbe il 10% dello stipendio in offerte…

I farisei sono coloro che seguono alla lettera non solo la Torah, riassunta nelle dieci parole. Ma anche tutta la “legge orale”. Cos’è questa legge?

I dieci comandamenti sono un po’ generici. Sono una rete a maglie larghe. Il trattato rabbinico Pirqè Avòt («Capitoli dei Padri») comincia con queste parole: «Mosè ricevette (qibbel) la Torah dal Sinai e la trasmise (mesarah) a Giosuè, Giosuè agli anziani, gli anziani ai profeti e i profeti la trasmisero agli uomini della grande assemblea (knesset ha-gedolah). Questi dicevano tre cose: Siate misurati nel giudicare, suscitate molti discepoli e fate una siepe (sejag) intorno alla Torah»

Così la tradizione ebraica affiancò alle dieci parole le MITZVOT, ovvero 613 precetti che normavano dettagliatamente la vita del “buon ebreo”.

613: 365 negativi (un divieto per ogni giorno dell’anno), 248 positivi (uno per ogni osso del corpo umano, secondo l’antropologia del tempo).

E i “perushim” si piccavano non solo di conoscerli a memoria (!!!!), ma di osservarli pedissequamente.

La tradizione, per conferire autorità a questi comandi, li fece risalire a Mosè. Cosa avrebbe fatto altrimenti nei quaranta giorni in cui stette con Dio sul Sinai? Avrebbe scritto solo dieci parole? Certo che no!

L’insieme delle Mitzvot è detto “halakhah”, il cammino. E nel Vangelo letteralmente i farisei chiedono: “perchè i tuoi discepoli non camminano nella tradizione degli antichi?” Il riferimento alle mitzvot è chiarissimo.

I farisei sono persone molto religiose e osservanti. Per assurdo, sarebbero i più apprezzati nelle nostre Parrocchie. Il problema è che sono ossessionati dal rispetto della NORMA.

A questo hanno ridotto il loro credo. Al rispetto di una serie di norme.

E giudicano “dannato” o “perduto” chiunque non faccia altrettanto.

Provocazione:

  • Sono un devoto?
  • La mia fede mi induce a criticare gli altri? Chi non la pensa come me? à BARZELLETTA DEL NAUFRAGO
  • Quando divento INTRANSIGENTE e smetto di ascoltare il pensiero altrui?
  1. ACCUSE A DIO

Dio viene accusato di essere “poco devoto”. Come nel capitolo precedente era stato accusato di non essere “sufficientemente istruito”.

C’è sempre chi è “più realista del re”, più religioso di Dio.

Un mio caro amico sosteneva che l’ideologia è l’idea priva della pratica, sganciata dalla realtà. Rimane solo la teoria. E la si utilizza come un martello contro il prossimo.

Ecco, il nostro non è un Dio teorico. E’ un Dio reale, presente, in carne e ossa e sangue e sudore. A cui piace bere e mangiare, stare in compagnia e pregare da solo. E’ un Dio che non sta nell’empireo solitario e cristallizzato di una filosofia. Ma cerca la relazione con me.

Provocazione:

  • Quando sono più religioso di Dio? Quali atteggiamenti allontanano i miei fratelli anzichè avvicinarli alla mensa del pane spezzato per i cinquemila?
  1. IPOCRITI

La fama di questo figlio di falegname che si fa rabbi comincia a diffondersi per la Palestina. Scribi e farisei arrivano addirittura da Gerusalemme per smascherare questo illetterato. E invece accade il contrario.

Gesù è veramente arrabbiato. Nulla lo fa adirare maggiormente rispetto al riscontro di questo atteggiamento. IPOCRITA = mascherato = commediante

Nulla fa più arrabbiare Gesù dell’essere finti. Del vestire di religione la propria nevrosi o la propria frustrazione.

Mascherato. Commediante.

Cosa dà più fastidio a Dio? Il peccato?

No. Almeno stando ai vangeli. La parola “peccato” è presente solo 18 volte nei vangeli, e quasi sempre è usata per sottolineare la misericordia di Dio. Gesù di fronte al peccato quasi si intenerisce. Si dispiace. “Peccare” in ebraico ha un significato molto vicino a “fallire l’obiettivo”. Dio ti pensa un’aquila e tu ti ostini a comportarti da pollo. Questo è Peccato!

Il termine “Ipocrita, invece, compare ben 20 volte. Più del peccato! E rilevare l’ipocrisia fa uscire dagli stracci Gesù.

Cosa infastidisce così tanto Dio?

La maschera della perfezione. L’osservanza esasperata. Il rimanere ancorati alla norma per la norma. Non per Dio.

Perchè vado a Messa alla domenica?

Perchè metto i soldi nella cassetta delle offerte?

Perchè mi confesso?

Il punto è: dov’è Dio in ciò che faccio? Che c’entra lui con me?

Gesù mi sta dicendo: puoi andare a Messa tutti i giorni e non incontrarmi. Puoi eseguire alla lettera la mia legge e non conoscermi. Ti rendi conto di questo?

Come nella parola di Isaia, la bocca è separata dal cuore. E il cuore è là dove è il mio tesoro. Nell’accezione evangelica. Come nell’accezione a molte esse di Smigol ne “Il Signore degli anelli”.

Personalmente, questo per me è un dramma. Mi mette in crisi questo Dio che è lì a chiedermi “che c’è tra me e te?”.

La mia religione è una zona di comfort. Ho la mia messa delle 10.30 la domenica. I miei amici. Il mio don. Le stesse persone intorno. E che la predica sia breve, mi raccomando.

Poi ho il mio oratorio, il mio gruppetto di amici. Più o meno la pensiamo allo stesso modo.

E così via. E se gli altri non la pensano come me? Eccoci qui a metterci uno contro l’altro. AC contro CL. Papa Francesco contro Benedetto. E non vanno bene don Tonino Bello, Enzo Bianchi, Alex Zanotelli, Madre Teresa, Teresa di Lisieux, Pietro e Paolo.

Ecco, quando la religione diventa comfort Dio è altrove. Quando la religione divide, Dio proprio non ne vuole sapere. E’ già sull’altra riva.

E quante volte al giorno sperimento la divisione tra parole e cuore. Tra il ripetere la lezione amata, che provoca piacere intellettivo, e il “capire dentro, capire a fondo” che necessita un coinvolgimento totale.

Il terrore che provo, sinceramente, è quello di sentirmi dire quel giorno che chiamerò “Signore, Signore” “In verità, non ti conosco.”

  1. PURO E IMPURO

Cosa è kosher e cosa no? Cosa dice la norma?

Di nuovo, Gesù sposta l’attenzione all’essenziale. Non abolisce nulla, ma spiega il progetto di Dio.

“Puro” rappresenta un termine tecnico. E’ lo stato di chi può avvicinarsi al “sacro”, a Dio.

Tantissime cose per i farisei rendevano l’uomo impuro. La forza dell’impurità pervadeva il mondo. Anzi, quasi lo vinceva. Un dolore che continuamente allontana dalla gioia della partecipazione al divino.

Gesù sposta la questione: non c’è nulla che dall’esterno ti può rendere impuro. Tu come sei? Dentro, come sei? La tua intelligenza (il cuore, nella medicina biblica) dove è posta?

Dov’è il tuo tesoro? Perchè lì sarà anche il tuo cuore.

E’ questione di gerarchia. Viene prima il comportamento o la sostanza? La norma o il principio che soggiace ad essa?

La forma, sembra suggerire Gesù, è il vestito dell’amore.

Tu non chiami tua moglie o la tua fidanzata perchè te lo prescrive qualcuno. Ma perchè la ami.

Così non vai a messa per mettere un timbro alla tua buona fedina, ma perchè lì incontri il tuo Dio, tuo Padre, tuo fratello, il tuo amico.

Ecco, per dirla in modo ingegneristico: i farisei pensavano che l’osservanza fosse condizione sufficiente per la salvezza.

Gesù ci dice che l’osservanza dei precetti non è condizione nè necessaria, nè sufficiente. E’ solo questione di amore. Scopri che per te Dio è tutto. Allora non puoi che ascoltarlo. Incontrare lui è scoprire il tesoro nel campo. E fa impazzire di gioia di per sè. Fa fare follie. Il resto è solo conseguenza.

  1. IL SENSO DEL PECCATO

Qualcuno dice che questo tempo ha smarrito il senso del peccato. In parte è vero.

Mi è piaciuta moltissimo questo pensiero di Enzo Bianchi:

“Qual è la differenza tra Dio e questa società? Questa società ama il peccato e odia il peccatore. Dio, invece, odia il peccato, ma ama il peccatore.”

Siamo passati negli ultimi 50 anni dal considerare tutto peccato al giustificare ogni cosa.

Dall’altra parte, però, credo che il senso del peccato sia vivissimo in me. Almeno per quanto riguarda il peccato degli altri. Mi è chiarissimo quando gli altri sbagliano. Sono altrettanto intransigente con me stesso?

No. Se sbaglio io, è sempre colpa di qualcun altro. Qualcuno che agisce su di me dall’esterno.

Ancora una volta, però, questo Dio sposta la questione. L’impurità non entra, bensì esce da te. Hai già tutto dentro. Sei tu che decidi di allontanarti dal sacro. Di contrarre l’impurità.

Ma anche qui Dio internviene. Non importa quanto tu sia peccatore. Importa quanto tu sia autentico con te stesso. E con Dio. Il peccato è qualcosa che Dio può perdonare, se lo si lascia entrare e agire. L’arroganza invece toglie spazio a Dio. E’ chiusura al mistero. E, ancora una volta, dipende solo da me.

  1. INCOMPRESIONI

“E disse loro: così neanche voi siete capaci di comprendere?”

Ancora una volta nel Vangelo di Marco/Pietro troviamo la testimonianza di una continua e costante incomprensione tra Maestro e discepoli.

Fa compassione questo Dio così solo. Incapace di comunicare, di comunicarsi. E’ venuto apposta, povero lui! Ma non tutto è vano.

Gli apostoli che noi veneriamo e che ci hanno generati nella fede sono lì a dirci quanto sono stati lontani dal Cristo, pur vivendo con lui ogni giorno per tre anni consecutivi.

Non provano vergogna. Questo rende la loro testimonianza ancora più credibile.

Quella Parola, alla fine, li ha resi liberi.

Allora viene da pregare come quel padre del fanciullo posseduto: Signore, io credo. Aiutami nella mia incredulità!

  1. CHIUSURA

Il Cristianesimo, dunque, è religione? Gesù il Cristo è una persona o una dottrina?

Il Cristianesimo non è una religione, bensì un INCONTRO con un Dio vivo! Gesù Cristo!

“Abbiamo creduto all’amore di Dio — così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva.” (Deus Caritas Est, 1)

Gabriele Guzzetti

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