Anche Manzoni nei suoi “Promessi sposi” si è occupato di pettegolezzi, meglio, di confidenze. In questo brano il barocciaio ritorna a casa dopo aver condotto Lucia nel convento monzese di Gertrude. Poi, per una parola di troppo…
“Una delle più gran consolazioni di questa vita è l’amicizia; e una delle consolazioni dell’amicizia è quell’avere qualcuno cui confidare un segreto. Ora, gli amici non sono a due a due, come gli sposi; ognuno, generalmente parlando, ne ha più di uno: il che forma una catena, di cui nessuno potrebbe trovar la fine. Quando dunque un amico si procura quella soddisfazione di porre un segreto nel seno d’un alto, dà a costui la voglia di procurarsi la stessa soddisfazione anche lui. Lo prega, è vero di non dir nulla a nessuno; e una tal condizione, chi la prendesse nel senso rigoroso delle parole, troncherebbe immediatamente il corso delle consolazioni. Ma la pratica generale ha voluto che obblighi soltanto a non confidare il segreto, se non a chi sia un amico ugualmente fidato, e imponendogli la stessa condizione. Così, d’amico fidato in amico fidato, il segreto gira e gira per quell’immensa catena, tanto che arriva all’orecchio di colui o coloro a cui il primo che ha parlato intendeva appunto di non lasciarlo arrivar mai. Avrebbe però ordinariamente a stare un gran pezzo in cammino, se uno non avesse che due amici: quello che gli dice e quello a cui ridice la cosa da tacersi. Ma ci son degli uomini privilegiati che li contano a centinaia; e quando il segreto è venuto a uno di questi uomini, i giri diventano sì rapidi e molteplici, che non è più possibile di seguirne la traccia. Il nostro autore non ha potuto accertarsi per quante bocche fosse passato il segreto che il Griso aveva avuto ordine di scovare: il fatto sta che il buon uomo da cui erano state scortate le donne a Monza, tornando, verso le ventitrè, col suo baroccio, a Pescarenico, s’abbattè, prima d’arrivare a casa, in un amico fidato, al quale raccontò, in gran confidenza, l’opera buona che aveva fatta, e il rimanente; il fatto sta che il Griso potè, due ore dopo, correre al palazzotto, a riferire a don Rodrigo che Lucia e sua madre s’eran ricoverate in un convento a Monza, e che Renzo aveva seguitata la sua strada fino a Milano.
Questo è uno dei brani che ancora ricordo delle letture liceali. Grande Manzoni!
Voglio salvare il positivo sul gossip.
Quel sottile prurito che mi spinge a svelare il “segreto” ricevuto a un amico fidato mi parla dell’irresistibile necessità di relazione che distingue l’essere umano.
E questo tratto saliente e peculiare è connaturato in me perchè rappresenta il profilo trinitario di quel “a immagine di Dio lo creò”.
Gabriele
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Non so se ho capito bene ma, salvare per salvare il positivo, rilancio.
Cerchiamo l’Immagine divina nell’umano?
Se fosse così, don Abbondio nel primo capitolo avrebbe cercato Gesù Cristo proprio in quella pettegola di Perpetua?!
In quali mani, si direbbe, si è messo?
Invece, effettivamente, Perpetua gli consiglia di riferire tutto, e chiedere aiuto, proprio al Cardinal Borromeo: futura chiave di volta nella provvidenziale soluzione del dramma.
Suggestivo!
Ben avrebbe fatto, il curato,a seguire quel consiglio!
Quindi riconoscere e discernere nell’umano un segno provvidenziale sarebbe utile. “Basterebbe”, sarebbe bastata a don Abbondio, una libertà senza pregiudizi.
Ma il romanzo, sarebbe terminato ventuno capitoli prima!
C’è tra i nostri “venticinque lettori” un esperto propriamente detto, o un appassionato, che sia interessato alla questione?
Maurizio
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