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Ironia, autoironia e libertà
“«La libertà – scriveva Victor Hugo – comincia dall’ironia» e la libertà non è valore da poco. Faccia seria, muso lungo, occhi bassi, aria indaffarata, frenesia compiaciuta, pensiero altrove, alta autostima, pregiudizio pronto, certezza sulle proprie idee e sui propri mezzi. A volte consegnamo la nostra libertà in mano alle sicurezze che noi stessi ci siamo costruiti, imprigionandola per difenderci da un mondo che cogliamo nemico e per non metterci in discussione. L’altro giorno, per strada, stavo per incrociare una persona che non giudico molto simpatica: non ho trovato di meglio, per evitare l’incontro, che fingere di rispondere a una chiamata al telefonino, liquidando il conoscente con un poco coinvolgente cenno della mano. A meno di essere solo io un caso patologico, molti ritroveranno in quel comportamento, di cui ora mi vergogno, un esempio di quella idolatria di noi stessi che trasuda di autostima fuori luogo e ci fa prendere troppo sul serio. La difesa dall’idolatria di noi stessi si chiama autoironia: quel piacevole gusto di saper sorridere di noi stessi, dove ironia e intelligenza vanno di pari passo.
L’ironia non è certo il contrario della serietà, ma la sua declinazione più ricercata, più gradevole, più delicata. È l’ottica più originale e più fresca per osservare il nostro quotidiano: «L’ironia è l’occhio sicuro che sa cogliere lo storto, l’assurdo, il vano dell’esistenza », affermava il filosofo Soren Kierkegaard. L’ironia, soprattutto l’autoironia, è garanzia di libertà, è il senso di pudore dell’umanità: insieme alla misericordia, è la forma suprema di elasticità, un esercizio quotidiano di tolleranza, una prova continua di umanità, un annuncio di armonia possibile. È materia fine: se così non è, scade nella grettezza, nel volgare, nell’offesa. Se la prova della bontà di una religione è il poter fare delle battute su di essa, come affermava Gilbert Chesterton, sappiamo quali lacerazioni e tragedie produce l’offesa dei sentimenti religiosi. Viene alla mente la finezza di papa Giovanni XXIII che offrì una mela all’ospite con una scollatura profonda che gli fu posta accanto a un pranzo ufficiale con le parole: «Gradisca questo frutto: Eva si accorse del suo stato dopo averla mangiata…». L’ironia è quello stato d’animo che ci solleva sopra a noi stessi e a tutto ciò che è limitato, è bellezza logica. Soprattutto quella rivolta verso noi stessi, di cui Socrate fu maestro: volendosi mostrare ignorante, non solo non si ergeva a maestro di verità, ma obbligava il suo interlocutore alla ricerca in sé stesso di risposte alle proprie domande. «Scrivere è riuscire a dire le cose gravi con frivolezza e quelle leggere con gravità», affermava Camilla Cederna, giornalista e scrittrice, confermata in pieno da un altro maestro con la penna, Beppe Severgnini: «Scrivere è scolpire: occorre soprattutto togliere, con un obiettivo in mente e un po’ di ironia nelle dita». Per questo chiudo qui l’articolo.”