- VENDETTA!
(Video: Caterina Caselli, Perdono)
Perdono! Io soffro più ancora di te!
Bugie. Ridicole.
Sai cosa significa essere ferito? Hai idea del dolore che provi nella carne, della morsa che ti stringe il cuore, di quella spada che ti trafigge l’anima?
Non puoi, seriamente, chiedermi di perdonare. Non se mi hai tradito. Non se sai cosa significa essere devastato nell’intimo.
E lì, nel buio rancido del rancore, nasce e si diffonde il tumore dell’odio. E le sue metastasi sono e gridano “Vendetta!”
(Video: ”Per qualche dollaro in più”, Sergio Leone, Ennio Morricone)
La vendetta è l’apice del non-perdono. La punta dell’odio, che come un iceberg affiora solamente in superficie mentre affonda la propria massa malevola nelle profondità del nostro cuore.
Il torto subito diventa un feticcio, una ossessione.
L’odio partorisce il desiderio di vendetta. E monta piano. All’inizio è un fastidio, un campanellino, un carrillon. E via via si carica, cresce, acquista spazio. Un serpente che striscia. Che si insinua. E ti avviluppa. Ti soffoca. Diventa prorompente. Riempie ogni cosa, ogni pensiero. Fino a esplodere in un assolo di tromba lacerante.
Per poi sparire. E lasciarti con la morte in mano.
L’atto della vendetta non porta a niente. Non restituisce nulla.
Una vita a inseguire la vendetta, un secondo per consumarla.
E quando la vendetta è compiuta, nulla cambia. Non c’è serenità. Non c’è prospettiva. Non c’è futuro.
Solo il feticcio viene restituito. Non c’è riparazione al torto. Non c’è resurrezione.
Il feticcio si rivela per ciò che è: un riflesso. E si svuota di significato. In modo beffardo.
La vendetta ha vinto. Ti ha vinto.
SALMO 109 (insieme)
Mi investono con parole di odio, mi combattono senza motivo.
In cambio del mio amore mi muovono accuse, mentre io sono in preghiera.
Mi rendono male per bene e odio in cambio di amore.
Suscita un empio contro di lui e un accusatore stia alla sua destra.
Citato in giudizio, risulti colpevole e il suo appello si risolva in condanna.
Pochi siano i suoi giorni e il suo posto l’occupi un altro.
I suoi figli rimangano orfani e vedova sua moglie.
Vadano raminghi i suoi figli, mendicando, siano espulsi dalle loro case in rovina.
L’usuraio divori tutti i suoi averi e gli estranei faccian preda del suo lavoro.
Nessuno gli usi misericordia, nessuno abbia pietà dei suoi orfani.
La sua discendenza sia votata allo sterminio, nella generazione che segue sia cancellato il suo nome.
- NON TI PERDONERO’ MAI! (IO SCELGO)
(Video: “The road”, John Hillcoat, Cormac McCarthy)
Non perdonare è talvolta comprensibile. Si tratta di una reazione più che di una azione. Una provocazione ad una provocazione.
Non perdonare è una misura di autodifesa, autoconservazione, tutela della sicurezza dei propri cari.
Capita a volte cioè che messi alle strette si faccia una scelta e si scelga di difendere i propri cari, anche a costo di non perdonare gli “estranei”.
La scelta è in mano mia. Posso perdonare o non perdonare. Posso puntare la pistola e ripagare con la stessa moneta chi voleva la mia morte. Io ho la possibilità di porre fine a una vita o di salvarla. Ogni santo giorno.
LETTURA (insieme)
“Perchè ti dovrei perdonare? I tuoi figli mi hanno abbandonato, hanno giurato per chi non è Dio.
Io li ho saziati ed essi hanno commesso adulterio, si affollano nelle case di prostituzione.
Sono come stalloni ben pasciuti e focosi; ciascuno nitrisce dietro la moglie del suo prossimo.
Non dovrei forse punirli per questo? Oracolo del Signore.
E di un popolo come questo non dovrei vendicarmi?” (Ger 5, 7-9)
Già, perchè dovrei perdonare? Perchè dovrei agire diversamente dal mondo?
Lo Stato mi vessa. Il mio capo mi stressa. La vita non mi sconta un centesimo. Perchè IO dovrei perdonare?
Perchè senza perdono non c’è giustizia.
Perchè riconoscere la sovrapposizione tra torto, rancore e pregiudizio è doloroso, ma liberante.
Liberante dal malessere dell’odio. Dalla cattiva salute che provoca, dal bruciore d’acido nello stomaco e in mezzo al cuore. Da quel suono lancinante che è il gesso non spezzato che scricchiola sinistramente sulla lavagna, una lama affilatissima che urla “skrèèèèèck” su una vetrata.
(Video: “La parola ai giurati”, Sidney Lumet)
MISERICORDES SICUT PATER (canto insieme)
- IL PERDONO
Perdono.
Ci avete mai fatto caso? Vi è capitato qualche volta di badare a questa parola, a questo macigno fatto di suoni, senza che essa rotolasse dalle corde vocali alle labbra in un soffio? Avete mai arrestato questo termine lì sul palato? L’avete mai assaporato, degustato, compreso i sapori dolci e salati che si porta appresso, come fosse una pietanza prelibata, rara, di difficilissima preparazione?
Perdono. Un curioso gioco di accenti. Se calco l’intonazione sulla prima “o”, ecco il PER-DONO. Con quel “per” che mutua il superlativo. Il super-dono, l’iper-dono. Il dono per eccellenza. Il dono incommensurabile, preziosissimo, l’unico che ha valore.
Se invece anticipo leggermente, questo regalo diventa una mesta voce del verbo perdere. O tutto, o niente.
E la cosa strabiliante è che nel perdono ritroviamo entrambe le accezioni: una perdita, una sconfitta e insieme un dono senza eguali. Per me, anzitutto; per gli altri poi.
“Il perdono è la via difficile di chi, senza dimenticare, nel dolore e nella discrezione,cambia se stesso. Perdonare è donare totalmente.”
“Il perdono è un processo personalissimo, faticoso e lento…occorre diffidare di chi perdona troppo facilmente.
Innanzitutto il perdono non significa dimenticare,…solo Dio può perdonare dimenticando…l’uomo perdona ma conserva la memoria.
A volte il perdono è confuso con lo scusare l’offensore per cercare un’attenuazione al proprio dolore, …non può significare nè la negazione del male subito nè un voler ristabilire la situazione antecedente l’offesa, dice la sapienza: “Dopo aver cotto il pane si può di nuovo avere la farina?”
Perdonare deve portare a un cambiamento dei sentimenti nei confronti dell’offensore, rinunciare a voler contraccambiare, vivere un’empatia con lui fino all’atto del perdono, atto libero compiuto nell’amore e nella pace.
Non siamo tentati di ripagare con lo stesso male chi ci ha ferito?
Perdonare non è naturale e spontaneo.
“Il perdonare non è azione di giustizia ma di misericordia. L’amore e la misericordia sono sempre indirizzati ad una libertà che può rifiutarli. L’amore basta all’amore e il perdono non attende riconoscimenti né ricompense. […] Il perdono permette di capire cosa significhi amare lasciando all’altro la libertà di rifiutarlo.”
“L’amore di Dio non va mai meritato, è grazia gratuita e incondizionata.
La portata scandalosa del perdono è che si tratta di una conversione da attuare in sé stessi: il perdono non nasce dalla conversione di chi ha offeso, ma nasce dalla conversione di chi ha ricevuto.
Questo non significa dimenticare , anzi più si perdona e più si ricorda, ma in una operazione di memoria che non è mortifera.”
(da “Dono e perdono”, Enzo Bianchi, ed. Giulio Einaudi)
MISERICORDES SICUT PATER (canto insieme)
- PERDONO o NON PERDONO?
“Cosa c’è?”, chiese la signora Cristina. “E’ successo un fatto”, spiegò lo Spiccio “Ci sono state le elezioni comunali e hanno vinto i rossi” “Brutta gente i rossi” commentò la signora Cristina “i rossi che hanno vinto siamo noi” continuò lo Spiccio. “Brutta gente lo stesso”…
“Noi non possiamo venire che da lei perché soltanto di lei possiamo fidarci. Lei, si capisce, pagando, ci deve aiutare.” ”Aiutare?” “Qui c’è tutto il consiglio comunale. Noi veniamo per i campi la sera tardi e lei ci fa un po’ di ripasso…” . La signora Cristina scosse gravemente il capo.”Se voi invece di fare i mascalzoni aveste studiato, quando era ora, adesso….” “Signora, roba di trent’anni fa…” … “Seduti” disse la signora Cristina. E tutti si accomodarono su sedie e panchette. La signora Cristina alzò la fiamma della lucerna e passò in rassegna le facce dei dieci. Ogni viso un nome e il ricordo di una fanciullezza. Peppone era in un angolo buio, messo un po’di traverso. La signora Cristina alzò la lucerna. Poi rimise giù la lucerna e alzò il dito ossuto. “Tu, vattene!” disse con voce dura. Lo Spiccio tentò di dire qualcosa, ma la signora Cristina scosse il capo. “In casa mia Peppone non deve neanche entrarci in fotografia!” esclamò. “Troppe me ne hai fatte, giovanotto. Troppe e troppo grosse! Fuori e non farti più vedere!”. Lo Spiccio allargò le braccia desolato. “Signora Cristina, ma come si fa? Peppone è il sindaco!”. La signora Cristina si alzò e brandì minacciosa una lunga bacchetta.”Sindaco o non sindaco, via di qui o ti do tante bacchettate che ti pelo la zucca”.
Peppone si alzò. “Ve l’avevo detto?” disse uscendo. “Troppe ne ho fatte”.
“E ricordati che qui dentro non ci metti più piede neanche se tu diventassi ministro dell’Istruzione!” lo minacciò la signora Cristina, rimettendosi a sedere. “Asino!”
(da “Don Camillo”, “Scuola serale”, Giovanni Guareschi)
(Audio: “Perdonami”, Luciano Tayoli, Morbelli, Sarra)
“Perdonami, per l’amor che c’è stato tra noi , ti supplico per quei dì che scordarti non puoi
no, non farmi soffrir, non lasciarmi morir, col rimorso nel cuore, imploro il tuo perdono in nome dell’amor”
Ci sono cose che non cambiano. Ci sono ferite che non si rimarginano. Nemmeno a pregarle. Nemmeno a pagarle. Eppure il rancore scava, rosicchia il cuore. E fa soffrire.
Il peccato è il Carnevale della sofferenza. Porta con sè distruzione e dolore, seppur mascherato di godimento.
Il perdono è conversione mia e allontana il dolore. Allevia la sofferenza per il torto subìto.
Ecco, se il peccato è la non-umanità, la misericordia mi ricongiunge con il mio essere uomo, figlio salvato.
“E una sera, mentre Peppone era in seduta consiliare, venne qualcuno a dirgli che la signora Cristina lo aveva fatto chiamare e che si sbrigasse perché lei non aveva tempo di aspettare i suoi comodi per morire. … “Ti perdono per via delle rane e delle altre porcherie” disse la vecchia maestra “io ti conosco e so che in fondo non sei cattivo” … “i miei libri tienli tu che ne hai bisogno. Devi fare molti esercizi di comporre e studiare i verbi” “Sissignora” rispose Peppone.”
(da “Don Camillo”, “La maestra vecchia”, Giovanni Guareschi)
SALMO 8 (canto insieme)
GRAZIE!!
è stato impressionante, nel senso che mi sono sentito come un’antica lastra fotografica su cui si sono impressionati pensieri e sensazioni.
gratificante insegnamento sul perdono.
Ve l’avrei chiesta …
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