“Cristiano” non è solo un aggettivo.

Ci fa visita ancora la nostra Antonietta. Oggi ci dona un altro ninnolo che ha conservato per noi nel suo Scrigno della Memoria. Ci parla con passione di lavoro. Lavoro svolto “come Dio comanda”. E del vivere da Cristiani, come Dio domanda… Ricordiamo che le riflessioni di Antonietta sono pubblicate anche sul Bollettino della Parrocchia di san Giulio in Barlassina.

Mia madre mi raccontava spesso delle peripezie che avevano preceduto il momento della mia nascita, tanto che mi sono convinta che, se il buon Dio mi aveva fatta arrivare in questo mondo attraverso una serie di passaggi complicati, questo significava che mi ci voleva proprio…
Un episodio di questi mi è tornato in mente, non per caso, qualche giorno fa. Era la sera della domenica di Calendimaggio di un anno lontano, e mamma, che mi portava in grembo da pochi mesi, stette molto male. Mio padre corse a chiamare il medico, un giovane dottore barlassinese, il quale però si trovava – come era più che legittimo – alla fiera di Calendimaggio con l’allora fidanzata, che di lì a poco sarebbe diventata sua moglie. Mia madre fu accudita come si poteva, finché, dopo le 23, il medico arrivò a visitarla. Certo, erano altri tempi; non si poteva contare sulla guardia medica, e il medico condotto era di fatto in servizio “permanente e effettivo”. E tuttavia si era nel cuore della notte, e chiunque lo avrebbe giustificato se avesse atteso la mattina successiva per fare il proprio dovere!
E’ stato durante l’ultimo saluto al dottor Giorgio Frangi, il giovane medico di allora, che questa vicenda mi è tornata alla mente con gratitudine, insieme con una serie di altre circostanze nelle quali la mia famiglia ed io ci trovammo a fruire delle sue cure e ad ascoltare i suoi consigli, offerti sempre con atteggiamento paterno, e qualche volta un po’ sornione, come quando mi spiegò – poiché alla fine dell’anno scolastico lo stress si faceva sentire con qualche piccolo disturbo – che, certo, i nostri padri contadini non sapevano cosa fosse lo stress: avevano ben altri problemi, consapevoli com’erano del fatto che sarebbe bastata una grandinata per distruggere il loro lavoro di un anno, ma regolavano le loro giornate secondo ritmi ben più “umani” di quelli cui ci sottoponevamo noialtri…
Non ho potuto fare a meno di riflettere, pensando alla lunga carriera di medico del dottor Frangi, sul fatto che essere un uomo di fede deve avere senz’altro condizionato il suo essere medico. La professione è, per tutti noi – dal medico all’operaio, dall’insegnante all’avvocato, dalla casalinga all’elettricista – il modo in cui si traduce in un impegno “sociale” la nostra umanità, la quale è direttamente connessa, per non dire coincidente, con la nostra fede cristiana. C’è modo e modo, insomma, per esercitare il proprio mestiere.
E questo non riguarda solo chi, come il medico, svolge una professione che lo porta a servire direttamente e manifestamente l’umanità delle persone. L’ho compreso con chiarezza qualche anno fa, quando a casa mia lavoravano dei giovani muratori. Un giorno la moglie di uno di loro venne in cantiere, e io le dissi che apprezzavo molto il lavoro di suo marito e del fratello di lui, che erano veramente appassionati e dediti a quel che facevano; lei allora osservò: «E’ così. Ci sono alcuni che nascono per fare i dottori, o per fare i preti; loro sono nati per fare le case. Per questo le fanno sempre come se fossero casa loro». Mi colpì molto quella osservazione, così semplice e così vera: la consapevolezza di una vocazione rende capaci di svolgere “come si deve” il proprio compito, quale che sia.
Occorre però, credo, guardarsi da un pericolo: quello di pensare che esistano i medici cristiani, i professori cristiani, i muratori cristiani, come se l’essere cristiani fosse una qualità accessoria dell’essere medici, professori, muratori. Non esistono i medici che sono anche cristiani, ma esistono i cristiani che sono anche medici. “Cristiano” non è un aggettivo qualificativo, ma è il nome che ci definisce più radicalmente (giusto per non confondere le idee agli studenti: “cristiano” è anche un aggettivo qualificativo, in certe espressioni, come “popolo cristiano”, “chiesa cristiana”: ma quando dico che sono un cristiano l’aggettivo viene “sostantivato”, diventa il mio nome, non una qualità secondaria).
Per dirla in altri termini, non c’è una professionalità “cristiana” e una che non lo è. Le professioni sono – chiunque le eserciti – la modalità per porre al servizio di tutti le capacità che ciascuno possiede: ci sono bravissimi medici, seri e generosi, che non sono cristiani, e da loro non c’è che da imparare, sul piano professionale e sul piano umano. Un cristiano che è anche medico non ha necessariamente competenze diverse dal medico che cristiano non è, né è necessariamente più bravo di lui; entrambi hanno da imparare l’uno dall’altro, sul piano professionale. Un cristiano che fa il medico, o che svolge una qualsiasi altra professione, è una persona che appartiene a Cristo, e che mette al servizio di Cristo tutto ciò che sa fare, poco o tanto che sia. «Tutto è vostro: … il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro. Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (I Cor. 23).
Tutto è nostro: è un invito a non lasciarsi vivere, a vivere con passione anche la propria professione, a non rinunziare a nulla di ciò che è “umano”. Ma noi siamo di Cristo, noi siamo cristiani: questo è il nostro “nome”, ciò che ci definisce. Non occorre dunque “inventarsi” una professione “cristiana”, né ci sono mestieri più “cristiani” di altri: basta essere consapevoli del fatto che “siamo di Cristo”, e il resto viene da sé.
Credo che il dottor Giorgio, che ha vissuto la propria umanità, anche professionale, in maniera dedita e appassionata, ne fosse pienamente consapevole. Anche per questo gli siamo molto grati.

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