Mese: ottobre 2017
Il colore della notte.

(NASA)
“Ci dormirò su!” E’ a questa battuta che ho pensato iniziando a leggere il contributo prezioso che ha donato al Bar oggi il nostro Fausto Corsetti. – E ricambiamo il suo abbraccio. –
“Ci dormirò su!” E invece, di notte…
E’ misterioso, inquietante, suadente, avvolgente, rispettoso: il buio. Tante cose accadono nella notte. Mentre tutto si adagia, sembra sostare in attesa, crescono nel segreto, non viste, cose importanti. Sfuggono agli occhi e appaiono, evidenti, solo a giorno inoltrato. Crescono adagio le cose che contano; crescono sotto lo sguardo anche di quelli che non cercano ciò che evidente non è.
Quante volte, nell’oscurità, cresce più chiara, più forte, più precisa, la volontà di Continua a leggere
Non è cosa che si vede e si tocca?
«Peppone si seccò e andò a piantarsi a gambe larghe davanti a don Camillo: “Si può sapere che cosa volete da noi? Veniamo forse noi da voi?”. “E cosa c’entra? Anche se voi non venite in chiesa Dio esiste sempre e vi aspetta”. Lo Smilzo intervenne: “Il reverendo ha forse dimenticato che noi siamo scomunicati?”. “È una questione di secondaria importanza – replicò don Camillo –. Anche se siete stati scomunicati, Dio continua ad esistere e continua ad aspettarvi. Scusate tanto: io non sono iscritto al vostro partito, non pratico la Casa del Popolo e sono considerato un nemico del vostro partito. Per questi fatti potrei forse asserire che Stalin non esiste?”. “Stalin c’è, e come! E vi aspetta al varco!” urlò Peppone. Don Camillo sorrise: “Non lo metto in dubbio e non l’ho mai messo in dubbio. E se io ammetto che Stalin esiste e mi aspetta, perché tu non vuoi ammettere che Dio esiste e ti aspetta? Non è la stessa cosa?”. Peppone rimase molto colpito da questo elementare ragionamento. Ma lo Smilzo intervenne: “La sola differenza è che, mentre il vostro Dio nessuno lo ha mai visto, Stalin lo si può vedere e toccare. E se anche io non l’ho visto e toccato si può vedere e toccare quello che Stalin ha creato: il Comunismo!”. Don Camillo allargò le braccia: “E il mondo sul quale viviamo io, te e Stalin non è forse una cosa che si vede e si tocca?”.»
Giovannino Guareschi
Don Carlo Gnocchi … il papà di alpini e mutilatini
Oggi, 25 ottobre, la Chiesa ricorda il beato don Carlo Gnocchi … educatore instancabile, egli dedicò tutta la vita ai giovani e, insegnando loro a dedicarsi senza riserve, li guidò sulla via della santità perfetta (dal Prefazio)
Carlo Gnocchi nasce a San Colombano al Lambro il 25 ottobre 1902. Nel 1925 viene ordinato sacerdote. Dopo un primo impegno come assistente d’oratorio, negli anni Trenta don Carlo viene nominato direttore spirituale degli studenti dell’Istituto Gonzaga di Milano, prima, e dell’Università Cattolica, in seguito. Nel 1940 l’Italia entra in guerra e molti giovani studenti vengono chiamati al fronte. Don Carlo, coerente alla passione educativa che lo vuole sempre presente con i suoi giovani anche nel pericolo, nel ’41 parte come cappellano militare per il fronte greco e nel ’42 partecipa alla campagna di Russia. Nel gennaio del ’43 durante la tragica ritirata degli alpini della Tridentina, assistendo gli alpini feriti e morenti e raccogliendone le ultime volontà, nasce in lui il sogno …
Sogno, dopo la guerra, di potermi dedicare a un’opera di Carità, quale che sia, o meglio quale Dio me la vorrà indicare. Desidero e prego dal Signore una cosa sola: servire per tutta la vita i suoi poveri. Ecco la mia “carriera”… Purtroppo non so se di questa grande grazia sono degno, perché si tratta di un privilegio.
Nascerà così la “Fondazione Pro Infanzia Mutilata”, che verrà poi sostituita dalla “Fondazione Pro Juventute …
Se bisogna ricostruire, la prima e più importante si tutte le ricostruzioni è quella dell’uomo. Bisogna ridare agli uomini non solo la elementare possibilità di pensare e di volere, ma bisognerà restituirgli anche la dignità, la dolcezza e la varietà del vivere, voglio dire quel rispetto della personalità individuale e quella possibilità di esplicare completamente il potenziale della propria ricchezza personale.
Il 25 ottobre 2009 don Carlo Gnocchi viene proclamato Beato.
Giusto un passo da quello che probabilmente è il suo libro più famoso “Cristo con gli alpini” per cercare di capire chi fosse il sacerdote, il cristiano, l’uomo don Carlo Gnocchi …
Passa ultimo e frettoloso un giovane ufficiale. Riconosce il cappellano. “Ciao, gli dice sottovoce, hai il Signore?”. “Sì”. “Dammelo da baciare”. Un balenio metallico della piccola teca tratta di sotto la divisa; un bacio intenso e poi via animosamente. Verso la battaglia. Ricomincia il colloquio e il cammino “a due”. Il cappellano parla al suo grande Compagno. Parole sommesse salgono disancorate dal fondo indistinto del cuore e qualche volta sfuggono inavvertite alle labbra. Sono le preghiere e i voti di tutte le mamme per i figli in armi, sono benedizioni e domande per ciascuno di quei generosi e umili combattenti incolonnati verso la linea del fuoco. E quando la domanda si fa più pressante, la gioia più intensa, il dolore più fondo, la mano corre istintivamente alla piccola teca che racchiude il Cristo. Come per un gesto di possesso e una riaffermazione di diritto, come per un bisogno di conferma e una rinnovazione di una ricchezza così augusta e troppo felice. Così vai e non sai bene se sia Egli che ti porta o tu che porti Lui.
Dio spiegato in romanesco.
Ve vojo riccontà ‘na storia strana.
Che m’è successa propio l’artra settimana
Camminavo pe’ r vialone davanti alla chiesa der paese
Quanno ‘na strana voja d’entrà me prese
Sia chiaro non so mai stato un cristiano praticante
Se c’era un matrimonio, se vedevamo al ristorante
Ma me so sentito come se quarcuno,
Me dicesse: “dai entra, nu’ c’è nessuno”
Un misto de voja e paura m’aveva preso
Ma ‘na vorta dentro, restai sorpreso
La chiesa era vota, nun c’era nessuno
La voce che ho sentito era la mia, no de quarcuno
C’erano quattro panche e un vecchio crocifisso de nostro Signore
“Guarda te se a chiamamme è stato er Creatore”
Me gonfiai er petto e da sbruffone gridai: “ So passato pè un saluto”
Quanno na voce me rispose: ”mo sei entrato, nu fa lo scemo mettete seduto!” Continua a leggere
Angelo Scola. Nella speranza è la grande bellezza.

Nel numero del 21 ottobre di Avvenire il Cardinale emerito di Milano ci parla della cosa che al Bar coltiviamo con passione. O almeno cerchiamo di farlo: la Bellezza. Un po’, noi meneghini, lo conosciamo Angelo Scola: le sue lezioni non sono easy; qui però ci aiuta con esempi e citazioni. Lo proponiamo agli amici.
La bellezza è lo «splendore della verità» dicevano gli antichi. Un bel paesaggio, una compagnia significativa, una coltivazione della terra ben riuscita, l’esito del lavoro paziente e accurato di un artigiano, un’opera di architettura, di scultura, di pittura, di poesia, di musica, ma soprattutto il miracolo sempre sorprendente di una nascita, o la dolcezza dell’amore vero tra l’uomo e la donna, l’energia con cui si sta dentro una prova legata alla salute, alla morte… In tutte queste manifestazioni della vita brilla (splendore) la verità. La verità, infatti, non è anzitutto un discorso o un insieme di formule logicamente ben compaginate. Ha piuttosto a che fare con la meraviglia con cui la bellezza si impone allo sguardo, fino a raggiungere il cuore di ogni uomo. Continua a leggere
Fiori per il giudice Livatino, mite guerriero che combatteva la mafia.
Facce da Italiani è una delle nostre rubriche. Oggi ci fregiamo di ospitare al Bar il giudice Bambino. Parliamo di Rosario Livatino. Un credente credibile. E Servo di Dio.
Grazie a MARINA CORRADI che lo ha commemorato il 21 scorso dalle colonne di Avvenire.
Caro Avvenire,
due giovani sposi agrigentini, Angela Guarraggi e Gianluca Volpe, al termine del loro matrimonio, celebrato nella chiesa Sant’Alfonso di Agrigento il 13 ottobre, hanno voluto affidare il loro bouquet di fiori, che generalmente gli sposi conservano gelosamente tra i ricordi, a un amico con una preghiera: «Deporli per loro sulla stele del Giudice Rosario Livatino». Alberto, questo il nome dell’amico, ha esaudito il desiderio di Angela e Gianluca e commentando il gesto mi ha detto che «appena mi hanno chiesto di deporre il loro bouquet sulla stele del giudice, a stento ho trattenuto la commozione: è stato un gesto di speranza bellissimo». A me, caro direttore, piace leggerlo come un gesto di riconoscimento e gratitudine verso un giudice e testimone credibile che ha lasciato certamente un vuoto nella magistratura, ma continua ad essere luce per tanti. Questo gesto mi ha fatto ritornare alla memoria quanto a tre anni dall’omicidio, monsignor Carmelo Ferraro, vescovo di Agrigento, si chiedeva: «Come mai la figura di Livatino esercita un così irresistibile fascino nelle giovani generazioni e non solo?». «Gli assassini, senza saperlo – concludeva –, anziché spegnere quella luce, hanno acceso un’enorme fiaccola», alla cui luce anche Gianluca e Angela camminano. Mi sento di dire, attraverso le colonne di Avvenire, un grande grazie ad Angela e Gianluca.
Don Carmelo Petrone direttore di “L’Amico del Popolo” Agrigento
Il 21 settembre 1990 alle 8 e 30 il giudice Rosario Livatino come ogni giorno sta recandosi da Canicattì, dove vive, al Tribunale di Agrigento. Sulla Statale 640 viene inseguito e raggiunto da un commando di sicari che lo incalzano per i campi. L’ultimo colpo è di lupara, a sigillare l’esecuzione. Rosario Livatino non aveva ancora compiuto 39 anni. Fin da ragazzo molto studioso, fervente cristiano, impegnato nell’Azione Cattolica, era entrato giovanissimo in Magistratura. I suoi colleghi si erano abituati a vedere sulla sua scrivania un Continua a leggere
La nostra strada.
Fausto Corsetti oggi ci propone un metodo con cui continuare il nostro cammino: preghiera che ci faccia raggiungere l’armonia che, riconoscendo la Bellezza, ci faccia amare la Vita. Ma che bello questo Bar!
Per quanto ci sforziamo di fare bene ogni cosa, avvertiamo a volte nella nostra vita delle stonature. Siamo andati forse oltre la buccia della vita, e stiamo cercando il sapore del frutto vero, la dimensione nascosta.
“Sentimenti contraddittori” ci tormentano: la contraddizione è una componente di molte esistenze. Siamo contenti di quello che facciamo e abbiamo, però… Dentro di noi albergano sempre dei “però”, delle immaginarie alternative alla vita che viviamo, che mai potremo sperimentare, ma che ci illudono con le loro chimere.
Non che i nostri umanissimi desideri siano completamente sbagliati, ma Continua a leggere
I confini ci attraversano. E i muri…?
Amo la fotografia e non potevo perdermi la mostra tutt’ora aperta a Milano di Franco Pagetti.
Il titolo mi incuriosiva: “Tutti i confini ci attraversano“.
È vero: nel nostro rapporto con la natura, gli artefatti umani e le persone siamo pieni di ‘confini’, visibili e non. I confini ci proteggono, in qualche modo segnano la nostra identità, i nostri valori.
Sono affezionata ai miei confini. Perché, come mi insegnavano a scuola, nelle ore di disegno, delimitano le cose e quindi definiscono la realtà.
Oggi, purtroppo, vanno di moda i muri. Una stima del Washington Post dice che tra il 1950 e il 2011 i muri sono aumentati in modo vertiginoso. Erano meno di 5 nel 1950, già diventati 15 nel 1990 e oltre 40 nel 2011.
Il muro è segno di una paura, quindi non è un ‘buon segno’.
In più, accresce anche l’angoscia di chi resta fuori.
Il Papa è forse il primo ad averlo capito: costruite ponti, ripete.
Ponti che servano a raggiungere l’altro.
Per i meno coraggiosi, si può almeno tentare di andare un po’ oltre sè, sarebbe già un successo, perché si prova a camminare, un passo dopo l’altro.
E vedere che cosa succede.