"Se pensate che io scriva certi miei post, ad esempio quello di ieri, perché voglio difendere una tradizione siete proprio fuori strada. Se pensate che lo faccia perché sono parte di una Chiesa che dice che certe cose sono peccato avete capito poco. Non è per odio o disprezzo, non per attivismo o perché pagato. Non mi piacciono le manifestazioni, non sopporto chi insulta un altro per quello che é, e tutti, anche quelli che a mio parere sbagliano gravemente, li riconosco come miei fratelli.
Ma non posso lasciare perdere la verità. La verità di cui parlo non è negare le nozze gay, o l’eutanasia, o l’aborto. Quelli sono particolari, sono effetti. Pensate che io viva per resistere al “cambiamento ineluttabile e progressivo”? Cazzate. Se domani mi svegliassi in un paese che ha approvato come legge tutte quelle cose sarebbe un giorno nero per tutti, ma non toglierebbe un briciolo alla verità. Se domani si instaurasse un regime ateo e omicida come in Corea del Nord, in Cina o nella vecchia Unione sovietica io non cesserei di essere quello che sono. Non sono le leggi degli uomini che mi definiscono. Mi possono rendere la vita migliore o peggiore, ma la verità sta altrove.
I regimi crollano. Le leggi cambiano. Le leggi di Nerone, di Ezzelino da Romano, di Stalin sono finite come i loro regimi. Credevano di essere eterni, sono morti nel loro vomito e nei loro escrementi. Non gli è sopravvissuta la loro ideologia, il cui trionfo vedevano ineluttabile.
Il problema non è resistere, o protestare. In questo caso “loro” ci portano a giocare sul loro terreno e, come ogni generale sa, questo è un terribile vantaggio. Le battaglie di retroguardia sono solo il difendere la fuga di chi si vede già sconfitto.
Il combattimento vero è altrove. E’ nel fare vedere in che maniera la fede può cambiare il mondo. E’ mostrare come il cristianesimo possa innalzare l’essere umano, farlo vivere meglio. L’unica cosa in grado di portare alla vera vittoria.
Se diamo tutto il nostro vigore solo alla resistenza a menzogne vuote, abbiamo già perduto. Perché abbiamo perduto la fede che Cristo possa cambiare il mondo.
Sarà la nostra faccia da salvàti a salvare il mondo. Perché farà vedere la menzogna che c’è dietro chi nega la realtà delle cose, i servimorte, gli adoratori del nulla. Come accadde al tempo degli imperatori romani, che avevano già tutti i mali che oggi si vorrebbe reintrodurre; come è riaccaduto mille volte e sta accadendo ora per mille persone, domani per altri mille, da duemila anni.
Amici, è la verità che vince, non noi e i nostri progetti anche buoni. Non è indignarci che ci fa vivere una vita migliore, non è protestare che raddrizzerà l’ingiustizia, non sono le petizioni o le leggi, giuste e ingiuste, che faranno rivivere i morti.
Per mostrare la faccia da salvati, bene, dobbiamo esserlo. Per mostrare la verità dobbiamo aderire ad essa, anche con le misere forze che abbiamo, malgrado tutti i nostri poveri errori. Se non avete ancora incontrato questa cosa che fa gustare la vita cento volte di più, che fa abbandonare rabbia e disprezzo, ecco, io ve l’annunzio. Si tratta di un uomo, il suo nome è Cristo.
Se l’avete già incontrata ecco, io ve la ricordo. Come la ricordo a me."
fonte: il blog amico di Antonio aka Berlicche https://berlicche.wordpress.com/2013/05/23/battaglie-di-retroguardia/
E se l’ha detto lui, maestro della manipolazione…
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Consiglio a tutti la lettura del romanzo “Il cerchio” di Dave Eggers.
Molto attinente a questo tema.
Gabriele
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Tasto matto
di Fausto Corsetti
Carta profumata, bigliettini con disegni, frasi che davano spazio ai sentimenti. Oggi, invece, le emozioni passano attraverso tasti e display, poco cambia se del cellulare, dello smartphone o del computer.
Dalle lettere che coprivano lunghe distanze impiegando giorni e giorni per giungere a destinazione, alle e-mail che ci arrivano qualche attimo dopo l’invio, alle chat o agli sms tramite i quali ci si può scrivere avendo una risposta nel tempo necessario per scriverla.
Anno dopo anno si son fatti meno auguri a voce e per telefono e anche per e-mail; e tantissimi via social network, magari “urbi et orbi”. Ci sono stati meno incontri anche brevi per salutarsi. In compenso, nei momenti in cui si riusciva a tirare il fiato, si andava online. Per scambiare due chiacchiere con qualcuno che non fosse un cognato; per fare battute sugli ultimi strani eventi italiani; per rincuorare tutti, a metà pomeriggio del 25 dicembre, con dei “forza e coraggio” a sindrome influenzale galoppante. Poi magari ci si è visti con gli amici. I soliti. Non quelli, magari centinaia, che abbiamo su Facebook. E che stanno portando la parte “più evoluta” del pianeta, insomma i milioni e milioni di Facebook, quelli di Twitter e gli altri, a ridefinire il concetto di amicizia. Non più legame affettivo e leale tra affini che fa condividere la vita e (nella letteratura classica) la morte. Assai più spesso, un contatto collettivo. Non più una frequentazione continua fatte di serate, discussioni, reciproche consolazioni. Casomai, un dialogo virtuale fatto di battute tra individui che quando va bene hanno incrociato i propri sguardi due volte…
Tempi di “social networking”: l’amicizia si sta evolvendo, da relazione a sensazione. Da qualcosa che le persone condividono a qualcosa che ognuno di noi abbraccia per conto proprio. E non è poi raro che, dopo certi pomeriggi domenicali passati a chattare, ci si senta non appagati, guarda caso, lievemente angosciati e col mal di testa.
In tanta pantagruelica abbuffata di parole la comunicazione e il modo di scrivere sono lentamente e inesorabilmente cambiati.
Ci siamo tutti impoveriti nel linguaggio. Un buon discorso fatto fra due o più persone, nel passare da vocale a scritto, ha perso tutto il fascino di una tranquilla chiacchierata tra amici: non ci si guarda più in faccia per dirsi qualcosa ma si rimane incollati a schermi e schermucci a “pestare” o “lisciare” una tastiera, aspettando una risposta dall’altro.
Guardarsi negli occhi mentre ci si parla è importante perché lo sguardo rispetto alle parole esprime meglio i concetti, i sentimenti, gli stati d’animo. E’ troppo comodo mascherarsi dietro uno schermo ed esprimere ciò che si pensa piuttosto che affrontare la conversazione a viso aperto.
E’ innegabile d’altro canto che questo sia uno strumento comodo e veloce per comunicare e trasmettersi informazioni o materiale, ma – come tutte le cose – anche questo deve essere adoperato nel giusto modo perché risulti veramente utile e non diventi un alibi, un paravento dietro cui nascondersi per paura di affrontare l’interlocutore faccia a faccia.
Da tutta la tecnologia che ci “avvolge” e continuerà ad avvolgerci non trarre beneficio sarebbe forse poco intelligente, l’importante è usarla con raziocinio e quando realmente serve, e non per pigrizia o altro; ci deve aiutare a semplificare le cose non a renderci più pigri; avari persino nella possibilità di scambiarsi uno sguardo, un sorriso, una carezza.
Anche una mano che accarezza, se non è accompagnata da uno sguardo che sostiene e che avvolge, non è efficace e convincente. Sono infinite le parole che possiamo scrivere o pronunciare , ma solo poche quelle che restano, che riescono ad abitare le stanze interiori del cuore.
Cari Amici,
più siamo collegati e meno viviamo quel valore che è l’attesa, perché l’illusione di essere più vicini di prima, disponibili sempre, sta edificando silenziosamente le nostre nuove distanze solitarie.
Un abbraccio fraterno.
Fausto
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