Ecco il nuovo preziosissimo contributo (altro che “articoletto!”) della nostra Antonietta Porro. Tradizione e un pizzico di folclore meridionale per celebrare la festa del Corpus Domini appena trascorsa. Grazie! E ricordiamo che i pensieri di Antonietta sono pubblicati anche sul Bollettino parrocchiale della Chiesa di San giulio in Barlassina.
Tra qualche giorno ripeteremo ancora una volta un gesto, un rito che appartiene alla nostra tradizione liturgica: porteremo per le strade del nostro paese, attraverso una processione, il Santissimo Sacramento, cioè quel minuscolo pezzo di pane nel quale la nostra fede vede pienamente e personalmente presente Cristo Gesù. In altre parole, cammineremo per le vie di Barlassina insieme a Gesù in persona.
La processione del Corpus Domini è rimasta quasi la sola processione solenne che accomuna le comunità cattoliche d’Italia: ci sono poi altri gesti, altri riti legati alle tradizioni locali, che le varie parti d’Italia interpretano secondo sensibilità e modi di esprimersi diversi, eppure tutti molto suggestivi.
Poco più di un mese fa mi sono trovata a prender parte a una festa tradizionale siciliana, a Mazzarino, nel cuore della nostra bella Sicilia, in una delle zone che il turismo di massa non ha toccato (eppure meriterebbe davvero una visita, per le sue bellezze naturali e artistiche!).
La festa del Signore dell’Olmo – come è conosciuta a Mazzarino e nei territori circostanti – pone le sue radici in una narrazione popolare, secondo cui dei malviventi, entrati nella chiesa con l’intenzione di trafugare il prezioso crocifisso medievale ivi conservato (secondo una variante della narrazione essi volevano invece impadronirsi dei numerosi e preziosi ex voto donati dai fedeli), avendo lasciato un bastone di legno d’olmo all’ingresso della chiesa, lo trovarono, all’uscita, trasformato in un pianta; riconosciuto il miracolo restituirono dunque il maltolto.
Da allora ogni anno gli abitanti di Mazzarino esprimono la loro devozione al Signore dell’Olmo per un mese intero, per giungere, alla seconda domenica di maggio, a celebrare una suggestiva processione, nella quale il Crocifisso venerato all’interno della chiesa viene portato per le vie della città, maestosamente ornate da fiori e drappi preziosi, mediante una pesantissima struttura (il ‘fercolo’), di quasi 15 quintali di peso, da 112 uomini appartenenti alle locali Confraternite, vestiti solo di una tunica bianca e rigorosamente scalzi (il loro posto come portatori del fercolo verrà tramandato in seguito, laddove possibile, ad un discendente maschio della famiglia). Il percorso della processione dura circa cinque ore (le strade lastricate della Sicilia possono diventare, con il calore del sole di maggio, veramente roventi!): il fercolo è seguito da moltissime persone, talora esse pure scalze; lungo il percorso una quantità infinita di persone ne accoglie il passaggio gettando corone di margherite gialle (i sciuri di maiu, i fiori di maggio), che si addensano sopra il fercolo, così che, ogni tanto, i portatori devono scuoterlo, per liberarlo del peso delle corone che subito dopo peraltro saranno sostituite.
Gli uomini che portano il fercolo, e i ragazzi che lo precedono nella processione, gridano di tanto in tanto, con cadenza dialettale: «Viva Gesù Crocifisso!». Un’acclamazione almeno insolita, come qualcuno mi ha fatto notare: essendo da poco passata la Pasqua, sarebbe più opportuno acclamare a Cristo risorto, no? Tanto più che Cristo risorto è emblema di vittoria sulla morte, mentre Cristo crocifisso ne è il simbolo più doloroso. Ma la tradizione popolare insegna una verità molto più grande della nostra interpretazione riduttiva: la Croce di Cristo è la vera vittoria sulla morte, perché è dalla Sua morte riscattata dalla resurrezione che anche la nostra morte non fa più paura! Cristo non è un eroe qualsiasi, del quale si celebra la potenza, ma è Dio che è morto come un uomo, per liberare l’uomo dalla morte!
Confesso che mi sono commossa, pur all’interno di un evento che aveva caratteristiche e espressioni poco familiari alla mia sensibilità ‘nordica’, e ho pensato alla grande saggezza della cultura popolare, la quale, attraverso un gesto così semplice, che forse potrebbe apparire anche bizzarro e anacronistico, ci educa alla grandezza del Mistero, ce lo fa ripetere e interiorizzare, fino a costringerci a interrogarci e a pensare…
Tra qualche giorno, dunque, ripeteremo il gesto della processione del Corpus Domini, rivedremo gesti e segni che potrebbero apparirci fuori del tempo – come le luci e i drappi rossi alle finestre (sempre di meno, peraltro), o la fila dei bimbi della Prima Comunione vestiti di bianco –, accompagneremo anche noi Gesù per le vie del paese. La Chiesa ci insegna a dire, con questo gesto, che il senso della vita è stare in compagnia di Gesù e portarlo con noi dovunque andiamo; ci invita a vedere che Gesù cammina ancora, se noi lo portiamo, per le nostre strade, anche quando sono buie al Suo passaggio e anche quando la distrazione di coloro che vi abitano (noi compresi!), in tutt’altre faccende affaccendati, impedisce di vederlo.
Il gesto che faremo, dunque, è molto più di un segno: è una specie di prova generale di quello che vorrebbe essere la nostra quotidianità, nella quale la compagnia di Gesù alla nostra vita può diventare, per nostro tramite, occasione di incontro per i nostri fratelli.