La segnalazione ci giunge dalla nostra Gemma: è di Avvenire del 3 marzo, l’Autore è l’ineffabile Davide Rondoni. “O che magari se ne abbia ancora qualche traccia senza sapere però bene cosa sia né da dove venga questa cosa bella che illumina i giorni dell’ansia.” Si parla di gentilezza. Altrove (leggi qui) definiva lo “spostare i capelli dal viso” così: “Il gesto che è stato calibrato dai secoli dei secoli, nel buio e poi dalle collisioni delle prime stelle e dal sollevarsi e ritirarsi delle maree, gesto preparato dai venti quando il mondo era disabitato e che solo gli uomini possono fare, loro che sono quasi niente nell’universo. Spostare i capelli dal viso del figlio…” Metafora della gentilezza… E la questione del “dono”: “Posso dire MIO solo di Ciò a cui appartengo”.
Imperdibile!
C’è un virus di cui tutti parlano e che segnalano come Covid-19. E ci sono le sue conseguenze, l’allarme, le cautele, persino le isterie. E però c’è un’altra cosa, e non ne parla nessuno. Una conseguenza quasi invisibile: come lui, il maledetto. Ma io l’ho vista. È la gentilezza. Anche lei, se così si può dire, una conseguenza del virus.Appare e scompare rapida, in gesti quasi impercettibili. Una attenzione verso qualcuno che sta entrando, un sorriso cortese in più, una sfumatura di cura. Soprattutto verso quelli che sentiamo più esposti. Insomma, piccoli gesti o atteggiamenti che portano scritto addosso, come un tatuaggio invisibile, ‘eh, ci tocca vivere questa situazione, almeno trattiamoci bene tra noi’ o qualcosa del genere. E allora si tiene una porta aperta per chi sta uscendo dopo di noi, si bada un attimo se la signora anziana non ha difficoltà a scendere il gradino. Come se lo tsunami di senso di fragilità che ha investito il mondo avesse ridestato – insieme a molte cose più superficiali – anche qualcosa di profondo, di propriamente nostro e nascosto.
Quella gentilezza che segnala come primo fiore tremante sul ramo di acerba primavera la nostra natura cosa sia. Orrore, sì, ma anche propensione all’aiuto reciproco. Un segno fragile ma incancellabile. Di sorriso all’essere dell’altro. Qualcosa di discreto, che se ne sta spesso e volentieri nascosto, che insomma ci sta depositato dentro come un segreto. Una specie di anima che viene ridestata – e a volte ci vogliono dei veri tsunami perché succeda. Ma quando accade, se si hanno gli occhi per vederla, per notarne le mosse rapide e semplici, è lo spettacolo più bello e meno scontato tra tutte le scene che si vedono in casi come questi. E di scene ne abbiamo viste in questi giorni!
Ma da dove viene questa altra cosa, la gentilezza? Che tesoro è ? Da dove viene in giorni in cui per mille sacrosanti motivi si potrebbero aver ragioni invece d’esser solo arrabbiati e scontenti? Anche Dante se lo chiedeva, e imputava a Federico II, che pure era uomo intelligente e di gran potere e sfarzo da venir chiamato ‘meraviglia del mondo’, di non averla difesa nell’Impero. Come dire: anche la politica ha una responsabilità nel favorire o meno la gentilezza. Dante come altri poeti prima e dopo di lui, sapeva che la fonte della vera gentilezza non sta nel censo o nel sangue. Ovvero la gentilezza non viene dalla ricchezza o dal lignaggio. Non sono i soldi e la posizione una garanzia di gentilezza.
Lo vediamo bene, non è proprio detto per nulla che i signori sian più gentili del popolino, né che gli appartenenti agli strati cosiddetti alti della società e della cultura siano più gentili degli incolti e dei poveracci. La gentilezza, aveva capito Dante, viene da una disposizione interiore, da qualcosa che è naturale in noi ma se non lo coltivi diminuisce, si sclerotizza, muore. Quei poeti sapevano che la gentilezza coincide con un vivo senso del destino, cioè si è gentili quando ami e tratti bene qualcosa o qualcuno che non è tuo.
Come quando guardi tuo figlio e tremi, vedi scritto in modo invisibile sul suo viso: non è tuo, è del Destino. E anche sul viso della donna o dell’uomo che ami. E mai è tuo possesso. Così quando succedono certi fatti è come se quella scritta ce la vedessimo addosso un po’ tutti. Quando il Destino fa un segno, allora in chi ce l’ha dentro coltivata la gentilezza emerge. Sono sicuro che ce n’è in tutti. O quasi. C’è da tremare a pensare che secoli di cultura, di formazione religiosa, spirituale potrebbero non aver lasciato almeno un grano di tale dote.
O che magari se ne abbia ancora qualche traccia senza sapere però bene cosa sia né da dove venga questa cosa bella che illumina i giorni dell’ansia. Intanto però lei, la gentilezza un po’ nascosta, si mostra in queste ore e in popolazioni che di solito vengono dipinte come rudi e un po’ rapaci. Una gentilezza che ha accenti diversi ma occhi simili. C’è una gentilezza veneta, una lombarda e una emilianoromagnola. Si potrebbe dire che insegue e fronteggia il virus, e quelle conseguenze peggiori. Opponendosi lei, che sembra invisibile tra tutte le news e le analisi, alla possibile disgregazione del Paese. La gentilezza italiana salverà l’Italia, i poeti lo han sempre saputo. Ma ora va detto forte.
Grazie, Maurizio. hai fatto una buona scelta.
Giordano
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Articolo Sublime! Impegniamoci a donare gentilezza!
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Gentilezza: laddove abita il senso e l’unità di quell’interiore vorticoso turbinio di sentimenti, di domande, di dolori, di passioni che travolge il cuore di ogni uomo…
Tante domande sembrano esprimere l’insistente domanda di senso che avvolge ciascuno di noi alla ricerca di una traccia indelebile che dia significato all’essere e al divenire.
Attenzione, rispetto, delicatezza, tenerezza, presenza. E’ lo stile di vita di quanti hanno compreso, di quanti hanno scoperto che non vi è nulla di poco importante, ma tutto è segno , anticipo, promessa: il frammento vale quanto l’intero, il dettaglio anticipa il tutto, l’avvenire è compimento dei ricordi.
Un abbraccio affettuoso a te, Maurizio, e a tutti i cari amici.
Fausto
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