
Qualche giorno fa ho partecipato a un incontro del “gruppo famiglie” della mia parrocchia.
A valle della lettura e meditazione della famosa parabola della “casa sulla roccia” (Mt 7, 21-27), il sacerdote che guidava l’incontro ha posto alcune domande tra le quali la seguente: “Come leggo gli eventi belli e brutti della vita? Che senso tendo ad attribuirgli?”
Il momento di condivisione è stato decisamente partecipato e la maggior parte degli interventi vertevano sullo spaesamento che si prova di fronte alla sofferenza propria e altrui.
Rimango sempre molto colpito da come l’interrogativo sul dolore pervada i nostri pensieri, quasi come un rumore di fondo presente nella testa di ognuno che sale di volume appena ne ha la possibilità.
E’ stupefacente come l’uomo rifiuti ostinatamente la sofferenza e la morte, ovvero parti connaturate da sempre nella sua esperienza. Come se percepisse che questi due elementi siano alieni alla propria essenza. E a ragione, perchè nasciamo per essere immortali! (Fate notare questa incongruenza a quelli che insistono con l’accomunare l’uomo agli animali. Avete mai visto uno scimpanzé seppellire i propri morti?)
Ciò che occorre ribadire a chiare lettere è che sofferenza e morte non appartengono nemmeno a Dio e non è Lui l’artefice dei nostri dolori.
Durante l’incontro ho proposto ai compagni di viaggio presenti un pensiero che mi affascina molto, colto dalla Kabbalah ebraica (la mistica dei nostri fratelli maggiori).
Si tratta della teoria dello “Tsimtsum” (“Ritrazione”).
I nostri fratelli ebrei, attraverso un concatenamento di considerazioni apparentemente semplicistiche, arrivano a fornire una chiave di lettura interessantissima del nostro mondo.
Dio è infinito e onnipresente, giusto? Ok. Quindi se è infinito e sta dappertutto, occupa tutto lo spazio. Ma se tutto lo spazio è occupato da Dio, come ha fatto Dio a creare l’universo?
Risposta: Dio si è ritratto. Ha tirato indietro la pancia. Ha lasciato posto al mondo.
Questo pensiero può sembrare buffo. La conseguenza che ne discende, no: il mondo è il posto in cui Dio non c’è.
Traduciamo e ampliamo il concetto: Dio non è il grande orologiaio che fa muovere meccanicamente ogni cosa nell’universo. L’infinito amore del Creatore per il Creato si manifesta anzitutto nel concedere autonomia ad esso.
Siamo creature autonome e viviamo in un mondo che gode di autonomia.
Se fumo tutta la vita, è probabile che un tumorino prima o poi mi affligga. Se percorro a 200 all’ora una strada di montagna non posso meravigliarmi di incorrere in un incidente. L’inquinamento (generato da noi) che per anni ha danneggiato il giardino in cui siamo stati posti e di cui siamo custodi si riflette sulla nostra salute odierna. E via discorrendo…
Poi certo, Dio agisce nelle nostre vite. Lo percepiamo, suvvia. Però agisce in funzione della Sua Volontà (ovvio) e in funzione della NOSTRA volontà. Insomma, fa quello che può e quello che gli concediamo di fare.
Ad un corso biblico cui ho assistito sono stato folgorato dalla traduzione letterale di Luca 1,37. Nella Bibbia CEI troviamo il famosissimo “Nulla è impossibile a Dio”. Il testo greco del Vangelo, più fedelmente, riporta: “Presso Dio non è impossibile ogni cosa”. Solo una sfumatura?
Gabriele Guzzetti